Dipendenti Pubblici, ritardato pagamento del TFS/TFR: la sentenza della Consulta n. 159/2019

You are currently viewing Dipendenti Pubblici, ritardato pagamento del TFS/TFR: la sentenza della Consulta n. 159/2019

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 159/2019 ha deciso che “non è irragionevole” differire e rateizzare i trattamenti di fine servizio dei dipendenti pubblici.

Contestualmente la Corte nella sentenza afferma che “restano impregiudicate le questioni di legittimità costituzionale ……… nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età e di servizio o di collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio.

Volendo tradurre quest’ultimo assunto si potrebbe sostenere che se il ricorrente fosse stato un lavoratore/pensionato al compimento del 65° anno di età, la Corte avrebbe accolto il ricorso dichiarando l’illegittimità delle norme che differiscono e rateizzano il trattamento di fine servizio.

Stando all’enunciato della Corte si pongono alcune domande:

  • Qual è il limite di età per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici?
  • Qual è il limite di servizio?
  • Qual è l’anzianità massima di servizio?

Mentre è abbastanza chiaro a tutti il concetto di limite di età, non altrettanto chiaramente si riesce a definire il concetto di anzianità massima di servizio quando, al contrario, ormai il concetto sostanziale di riferimento è l’anzianità minima di contribuzione.

Detto questo e in relazione alle criticità evidenziate dalla Corte costituzionale, per i dipendenti pubblici si presentano due casistiche:

  1. Cessazione obbligatoria;
  2. Cessazione a discrezione dell’Amministrazione/Ente.

Casistica A) – Cessazione obbligatoria

A.1) dipendente che ha raggiunto l’età per la pensione di vecchiaia (67 anni nel 2019) ed ha maturato almeno 20 anni di contribuzione;

A.2) dipendente che ha raggiunto il limite di età ordinamentale (65 anni) ed ha maturato 42 anni + 10 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 anni + 10 mesi per le donne.

Casistica B) – Cessazione a discrezione dell’Amministrazione/Ente

B.1) dipendente con almeno 62 anni di età e che ha maturato 42 anni + 10 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 anni + 10 mesi di contribuzione per le donne.

In riferimento alla sentenza della Corte, in particolare il punto 9 che recita “restano impregiudicate le questioni di legittimità costituzionale ……… nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età e di servizio o di collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio.”, appare evidente che la casistica A.1) rientri nel primo enunciato dei “limiti di età e di servizio”, mentre le casistiche A.2) e B.1) rientrino nel secondo enunciato del “collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio”.

A questo punto la “domandona” è: fra le casistiche sopra indicate e il caso esaminato dalla Corte (pensione anticipata di vecchiaia) qual è la differenza?

Considerata la parità di  condizioni/requisiti (età di almeno 62 anni, anzianità contributiva 41 anni + 10 mesi – donna) la differenza può essere individuata in chi ha deciso per la cessazione dal servizio; nel caso esaminato dalla Corte costituzionale è stata la dipendente a dimettersi, motivo per cui “non è irragionevole il differimento e la rateizzazione del TFS”, diverso sarebbe stato, presumibilmente, se a decidere fosse stata l’Amministrazione collocando la dipendente a riposo d’ufficio a causa del compimento dei 62 anni e del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio.

Fatta questa premessa non possiamo non stigmatizzare la visione che viene fornita del trattamento di fine servizio: una sorta di regalia al termine della carriera motivo per cui si può tranquillamente decidere di “rinviare e rateizzare” l’erogazione; non considerando invece che mensilmente sulla busta paga di ogni dipendente pubblico viene effettuata una ritenuta per la costituzione del Trattamento di fine servizio, parte a carico del lavoratore (fatta eccezione negli Enti pubblici non economici) e parte a carico del datore di lavoro.

La busta paga – cedolino stipendiale – è la mappa nella quale appare quanto paga il dipendente e, invisibile al lavoratore, quanto paga il datore di lavoro.

Nella seconda parte della busta paga, nei “Dati di dettaglio  della retribuzione”, nella sezione “Ritenute previdenziali” c’è un campo denominato “Opera di previdenza” (leggasi: TFS); accanto a quest’ultimo troviamo un imponibile e una aliquota percentuale e, quindi, la relativa “trattenuta” ogni mese e anche sulla tredicesima mensilità.

Questo è quello che vede (e sente!) il lavoratore tutti i mesi, di seguito una descrizione del sistema “Ritenute per Opera di previdenza (leggasi TFS):

 

Dipendenti civili e militari dello Stato
Descrizione Imponibile Dipendente Datore di lavoro Totale
Misura (1) Ritenuta Misura (2) Ritenuta
Opera di previdenza 2.780,92 2,50 su 80       55,62 7,10 su 80     157,96     213,57
(1) 2,50 su 80 equivale a 2 su 100; (2) 7,10 su 80 equivale a 5,68 su 100
 

Analogo sistema vale per i dipendenti degli enti locali e del SSN, con una variazione della misura dell’aliquota a carico del datore di lavoro.

Per l’esempio in esame, le voci retributive che compongono l’imponibile sono:

  • Stipendio base
  • Indennità Integrativa Speciale (IIS)
  • Indennità di Amministrazione/Ente
  • Retribuzione Individuale di anzianità (RIA)

Annualmente ai fini del TFS viene versato:

  • Dipendente: 55,62 x 12 = 667,42
  • Datore lavoro: 157,96 x 12 = 1.895,48
  • Totale annuale: € 2.562,90 + € 187,66 (sulla 13^) = € 2.750,55

 

Chiarito come “funziona” il TFS, si può continuare a sostenere che si tratti di una “regalia”?

Roma, 4 luglio 2019.

Il Segretario Generale

Massimo Battaglia

 

TFR TFS statali Focus su sentenza Consulta

Lascia un commento