Abbiamo richiesto sin dalle prime luci dell’alba del 12 marzo alla Ministra Dadone di emanare immediatamente una direttiva per rendere univoca in tutto il mondo del pubblico impiego la norma dell’art. 1 punto 6 del DPCM dell’11 marzo 2020.
Ciò che dicono il Dpcm citato e la Direttiva n. 2 della Ministra Dadone è molto semplice:
nella necessità assoluta e primaria di gestire l’emergenza sanitaria epidemiologica da Covid-19, la cui preoccupante diffusione impatta in modo drammatico sulle strutture sanitarie nazionali che rischiano il collasso, è stata presa una decisione netta, modificando -temporaneamente- il mondo del lavoro pubblico: l’ordinaria attività lavorativa nella pubblica amministrazione è lo smart working, il lavoro agile.
Modalità differenti, cioè che prevedono il recarsi in ufficio, sono dal 12 marzo una residuale eccezione, che le amministrazioni -come chiariscono lo stesso Dpcm prima e la Direttiva poi- dovranno individuare, considerando tali le sole attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza e quelle attività indifferibili da rendere in presenza.
In ogni caso, la logica -al fine del contenimento epidemico- tracciata tanto dal Dpcm che dalla Direttiva è stare in casa e lavorare in smart working, tranne appunto che per presidi che assicurano l’attività essenziale dell’amministrazione.
Sul piatto della bilancia c’è la salute personale, dei familiari dei lavoratori e di una intera collettività nazionale. Serve azzerare da subito le occasioni di contagio e quindi la mobilità sociale che le moltiplicano. Suggeriamo a tutti di informare e chiedere alla propria amministrazione di effettuare attività lavorativa in smart working da subito.
Saremo pronti a iniziative legali qualora le amministrazioni non si uniformassero alle norme introdotte dal governo ostacolando l’esercizio ordinario dell’attività lavorativa in smart working, mettendo in tal modo a rischio la salute individuale e pubblica.
il Segretario Generale
Massimo Battaglia