Si Pubblica qui di seguito l’intervista di Pa Magazine a Massimo Battaglia, Segretario Generale della Federazione Confsal-UNSA, che da anni, con 2 ricorsi approdati alla Corte Costituzionale, lotta per l’equiparazione dei tempi di riscossione del Tfs/Tfr tra pubblico (fino a 7 anni di attesa) e privato (3 mesi di attesa).
Questo il link dell’intervista:
Massimo Battaglia, segretario generale di Confsal-Unsa, la Corte Costituzionale ha pubblicato l’attesa sentenza sul Tfs degli statali. Dei contenuti della decisione parleremo subito. Ma ho una domanda preliminare. Il suo sindacato è stato quello che ha combattuto in prima linea contro il pagamento ritardato della liquidazione ai dipendenti pubblici portando il caso fino alla Consulta. Ma dopo la sentenza siete stati silenti, gli unici a non commentare la decisione. Perché? «Guardi, per chi in questi anni non ha mosso un dito, non si è sporcato le mani per combattere contro l’ingiustizia subita dai lavoratori pubblici di dover attendere anni il pagamento della loro liquidazione, è facile cantare vittoria. Chi del Tfs ha parlato nei convegni e nei salotti ha pensato bene di sfruttare l’occasione per saltare sul carro che credeva del vincitore, ma che invece del vincitore non è. Noi che siamo stati dentro il giudizio della Corte abbiamo preferito leggere parola per parola la sentenza che ha bisogno di essere capita e spiegata a tutti i dipendenti pubblici nelle sue reali prospettive».
Lei dice che il carro di questa sentenza non è quello del vincitore. Che significa? «Per spiegarlo devo necessariamente fare una breve ricostruzione storica dei fatti. Sempre su un nostro ricorso, la Corte Costituzionale si era già pronunciata nel 2019 sul pagamento ritardato del Tfs agli statali. In quell’occasione aveva stabilito che il pagamento posticipato si poteva ritenere legittimo solo in caso di prepensionamento. Però aveva detto anche che se un dipendente pubblico fosse andato in pensione di vecchiaia, a 67 anni, quel ritardo non sarebbe stato più giustificabile. Nel 2019 però, il ricorso era stato presentato da un pensionato uscito con uno degli scivoli previsti dal governo. Così la Corte aveva “invitato” il Parlamento e il governo a porre rimedio a questa ingiustizia perché, aveva detto, se arriverà il ricorso di un pensionato pubblico uscito con la pensione di vecchiaia, non potremo che dargli ragione».
L’invito del 2019 a legiferare è rimasto lettera morta? «Nessun governo se ne è curato. E questo nonostante Confsal-Unsa abbia diffidato la Presidenza del Consiglio ad adempiere».
La nuova sentenza è stata letta, dicevamo, come una vittoria per i dipendenti pubblici. Dunque non è così? «Che i dipendenti pubblici abbiano ragione a pretendere il pagamento immediato della liquidazione lo dice il comunicato stampa della Corte Costituzionale. Ma la sostanza è che il ricorso è stato dichiarato inammissibile. E la ragione lascia francamente perplessi. Il problema sono i 14 miliardi che lo Stato dovrebbe pagare, ma sarebbe meglio dire restituire, ai dipendenti».
I conti pubblici sono un problema, i soldi non ci sono? «Si è preferito salvaguardare il datore di lavoro piuttosto che i lavoratori. Ora siamo allo stesso punto del 2019. C’è un invito “pressante” al governo e al Parlamento ad intervenire per sanare la situazione. Ma se in quattro anni non è stato mosso un dito, domando allora io, perché ora dovrebbe essere diverso? E aggiungo una cosa».
Quale? «Adesso non c’è nemmeno più l’arma di un nuovo ricorso. La via della Consulta ormai per i dipendenti pubblici si è chiusa. Vedremo se il governo farà qualcosa, ma mi permetta di essere scettico».
Faccio l’avvocato del diavolo. E’ vero che il ricorso è stato dichiarato inammissibile, ma è vero anche che le dichiarazioni inserite nella sentenza sono “pesanti”. Davvero pensa che il governo possa girarsi dall’altra parte? «Se il problema, come dice la Consulta e come ha detto la stessa avvocatura dello Stato nelle sue difese, son i soldi, non credo che il problema sia risolvibile. Il contratto dei dipendenti pubblici è scaduto nel 2021 e per rinnovarlo servirebbero almeno 10 miliardi. Per pagare il Tfs immediatamente sono necessari altri 14 miliardi. La prossima manovra dovrebbe essere dedicata totalmente al pubblico impiego. Lo auspico ma mi consenta di avere difficoltà a crederlo».
Dunque che rimane per Confsal-Unsa di questa sentenza? «Certamente per noi è una grande soddisfazione aver messo al centro del dibattito politico l’ingiustizia del pagamento differito del Tfs ai dipendenti pubblici, dopo che nel 2015 sempre su un nostro ricorso, la Consulta ha sbloccato i rinnovi dei contratti di lavoro dopo un decennio di sospensione. Ma c’è una considerazione che credo vada fatta e non sia più rimandabile».
Quale considerazione? «Le ripeto quello che ho detto all’attuale ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo quando ci siamo visti. Quando esce in strada trova un dipendente pubblico: un poliziotto, un vigile, un carabiniere. Trova dipendenti pubblici quando va in ospedale a farsi curare, o quando manda i suoi figli a scuola. La sentenza mette la politica davanti a un bivio. Deve decidere se tiene oppure non tiene ai dipendenti pubblici. Deve rispondere se interessa il destino di questi poliziotti, carabinieri, professori, infermieri, medici. O se il loro destino è sacrificabile ad altri interessi».