Lavoro pubblico – Riccione – Relazione
Stiamo vivendo un periodo molto difficile e convivere con questa pandemia da Covid19 con il suo riproporsi sta diventando sempre più insopportabile.
Alle ormai ataviche insicurezze: disoccupazione, economia stagnante, incertezze politiche, ecc., si aggiungono quelle dettate dalla paura di ammalarsi e quelle imposte per far fronte alla diffusione del contagio e con le difficoltà sociali di vivere a distanza e mascherati.
Nelle difficoltà il nostro Paese ha imparato a reagire e, se tutti insieme acquisiremo la consapevolezza della gravità del momento, anche questa volta saremo in grado di risollevarci per essere migliori di prima, emarginando gli strumentalizzatori di professione sempre alla ricerca dell’untore o di capri espiatori sui quali scaricare rabbia e frustrazioni.
Nell’occasione non potevano mancare gli strumentalizzatori del lavoro pubblico mettendolo contro il mondo del lavoro privato, creando ad arte una contrapposizione becera e sguaiata.
Ci è noto che a costoro, per le ragioni di cui sopra, poco importa entrare nel vivo delle materie e degli argomenti di cui trattano. Convinti e consapevoli che la “società” non sono solo loro, ci rivolgiamo al mondo responsabile e onesto intellettualmente, attento ai fenomeni e valutandone cause ed effetti per fornire alcuni dati sul lavoro pubblico utili a comprendere meglio questo mondo.
Dati che, a nostro parere, rappresentano le difficoltà a rendere servizi pubblici quantitativamente e qualitativamente migliori di quanto fatto finora.
Avremmo voluto presentare e illustrare questo lavoro in occasione del nostro Convegno Nazionale, programmato per il 19-20 ottobre, che purtroppo non si è tenuto a causa delle restrizioni dovute al Covid19.
In una diversa modalità, rimanendo comunque vive le riflessioni su cui si basa, proviamo comunque a rappresentarlo oggi illustrando con brevi annotazioni le varie tavole che lo compongono.
Il focus si rivolge in particolare al lavoro pubblico del comparto Funzioni Centrali (Ministeri, agenzie Fiscali e Enti Pubblici non economici), quella categoria di dipendenti meno appariscente ma non meno importante nella vita socio-economica del nostro Paese e alla quale, come dimostrano i dati, non si riserva l’attenzione che merita per metterla nella condizione di operare al meglio e con efficienza.
Nella Tavola 1 mostriamo l’andamento occupazionale dal 2005 al 2018; in tal senso non può essere considerato ininfluente nel funzionamento di questi settori aver perso 76.641 posti di lavoro, di cui: 46.888 nei Ministeri; 22.322 negli enti pubblici e di previdenza e 7.231 nelle agenzie fiscali.
Comunque sia sono posti di lavoro persi, poi si può sostenere che a tale riduzione di personale si è provveduto con l’informatizzazione; è altrettanto vero che non tutto è possibile fare con le macchine, in particolare in un Paese come il nostro dove la digitalizzazione, individuale e collettiva, sconta un grave ritardo.
È ragionevole rilevare una incapacità politica e amministrativa a governare e organizzare al meglio le amministrazioni pur anche in un contesto di sofferenza numerica di personale occupato.
Nelle Amministrazioni pubbliche è stato sempre più evidente l’assenza di una progettazione e di una programmazione utili ad organizzarle in modo efficace e con personale sempre più qualificato e con maggiori competenze e conoscenze, pur anche con il limite imposto, come vedremo di seguito, dal blocco o dal rinvio delle assunzioni.
Si può dire che i modelli organizzativi delle Amministrazioni Pubbliche non riflettano e non riescano a rappresentare l’evoluzione dei modelli sociali e le istanze/necessità quantitative e qualitative della collettività e dei singoli cittadini?
Le risposte a tale domanda riteniamo si possano trovare come abbiamo detto prima nelle Tavole 1 e 2, per i numeri occupazionali, e nelle Tavole 3 e 4 per rispondere alle richieste qualitative sempre più elevate.
In prospettiva, se si immagina una P.A. sempre più qualificata, con maggiori conoscenze e competenze, si rende necessaria una inversione di tendenza rispetto alla situazione attuale dove il capitale umano per il 70% è collocato in attività di supporto e il restante 30% del personale, in possesso di titoli universitari, nelle altre attività riflettendo un modello organizzativo ad imbuto che non consente decisioni rapide.
Fino ad oggi il personale presente ha sopperito a questo deficit imponendosi a svolgere funzioni diverse e superiori alla propria qualifica senza alcun riconoscimento economico e professionale; è una condizione che ovviamente non è sostenibile all’infinito.
Modelli organizzativi non ottimali, deprimento delle capacità individuali e professionali, blocco delle carriere, demotivazioni, ecc., sono in buona parte riscontrabili nella “grande fuga” rappresentata nelle Tavole 5 e 6 dove i numeri delle cessazioni, nel periodo 2010-2018, mostrano il “desiderio” di uscire da un mondo ritenuto “irriconoscente” dell’impegno profuso nell’arco della propria carriera lavorativa.
Affermare, come spesso si fa, che i lavoratori pubblici sono “vecchi” perché l’età media si attesta sui 54/55 anni presupporrebbe una decisione nel senso di un ricambio generazionale consentendo ai cosiddetti “vecchi” di accedere, in modo agevolato, alla pensione e contestualmente procedere all’assunzione, almeno, di un pari numero di giovani.
Fermo restando la necessità di una forte campagna assunzionale, ragionevolmente noi pensiamo che, stante la normativa pensionistica e non potendo/volendo ritenere “vecchio” un dipendente con 54/55 anni di età, considerato che per costoro si prospettano 12/15 anni di lavoro sarebbe invece utile investire nella loro formazione e riqualificazione per utilizzarli al meglio per i molti anni che ancora devono rimanere in servizio.
Alla demotivazione sul lavoro, fra le altre cause, come concausa della grande fuga si unisce l’incertezza normativa in materia pensionistica che tocca, ovviamente, anche i lavoratori pubblici.
I dati delle Tavole 6 e 9 mostrano con estrema evidenza i momenti topici nei quali si manifestano i maggiori picchi di uscita, dovuti si a fasi generazionali ma soprattutto al verificarsi di eventi speciali quali possano essere stati la riforma pensionistica del 2011 (Riforma Fornero!) e quale è la cosiddetta “Quota 100”.
Le Tavole 10 – 11 e 13 mostrano, contrariamente a quanto e come la vulgata vuole rappresentare il lavoro pubblico, come in Italia questo settore non sia quantitativamente meno virtuoso degli analoghi settori dei principali Paesi europei. I dati rilevabili nella Tabella 3.1 della Tavola 13 ci fanno porre il dilemma se il nostro Paese sia il più virtuoso oppure se il nostro Paese sia il meno virtuoso (il peggiore!) fra i Paesi UE nel rapporto tra spesa per redditi e popolazione residente!
Nella Tavola 11, in particolare, è quanto mai evidente come e quanto il lavoro pubblico abbia contribuito e scontato il peso della crisi economica del nostro Paese con ciò significando il blocco dei rinnovi contrattuali dal 2009 al 2015.
Con le Tavole 12 e 14 si ripropongono alcuni stralci di uno studio condotto dal Ministero dell’economia e delle finanze con elencate le materie e i provvedimenti adottati dai vari Governi, a partire dal 2010, nei confronti del lavoro pubblico e dei dipendenti pubblici.
Causali e dati illustrati con particolare enfasi; deprecabili invece a nostro parere e secondo la nostra lettura e che solo grazie alla iniziativa giurisdizionale della Confsal UNSA ha portato alla storica sentenza n. 178/2015 della Corte costituzionale si è potuta fermare “obbligandoli” a rinnovare i CCNL per il triennio 2016-2018; troncando così quella perversa previsione politica che mirava al blocco contrattuale fino a tutto il 2021.
Il nostro lavoro, il nostro impegno non si ferma alla analisi semplice di questi, e tanti altri, dati; guardiamo avanti, forti delle pregresse esperienze, pensando a come sarà o potrà essere la P.A. domani e nei prossimi dieci/venti anni accettando le sfide che i cambiamenti sociali, economici e tecnologici ci riserveranno e ci imporranno.
Dalla riorganizzazione delle Amministrazioni a nuovi processi produttivi, dalla riorganizzazione del lavoro allo smart-working, da una tempistica codificata, certa e trasparente per un servizio, quantitativamente e qualitativamente elevato, con un rapporto quanto più breve possibile fra richiesta e prestazione: sfide con le quali noi siamo pronti a confrontarci.
Nel confronto occorre sempre mettere al centro “il lavoratore”, creando le condizioni e i presupposti affinché il lavoratore pubblico riacquisti fiducia e convinzione, si riappropri di quella consapevolezza per cui la sua prestazione è di fondamentale importanza per la collettività e il miglioramento del nostro Paese.
Non è utopia ma convinzione e certezza che il lavoratore pubblico farà la propria parte e la farà con sempre maggiore impegno:
- se vedrà rinnovarsi i contratti nelle cadenze naturali e senza ritardi,
- se avrà un ordinamento professionale che gli consente di riporre in esso le giuste aspettative in termini di carriera professionale e di crescita economica,
- se gli sarà consentito di operare in un contesto logistico e ambientale nel quale sono presenti le necessarie risorse umane, donne e uomini,
- se gli saranno messe a disposizione le adeguate e necessarie risorse strumentali,
in un contesto organizzativo dinamico al passo con l’evoluzione e i mutamenti della Società; per ultimo, ma non meno importante, in un sistema che faccia leva su una formazione continua, costante che non lasci indietro nessuno, giovani e meno giovani, e ancor meno coloro che, trovandosi al confine o anche oltre di quella età media dei 54/55 anni, la vulgata vorrebbe confinare considerandoli “vecchi”.
Il Segretario Generale
Massimo Battaglia